Un meccanismo a orologeria riduce l’importo della pensione contributiva (compresa la parte delle pensione calcolata con il sistema misto) con il crescere dell’aspettativa media della vita. Dal 1° gennaio 2016 al 31 dicembre 2018 i coefficienti declassano la percentuale rispetto a quella attuale (2013-2015) e a quella istituita dalla legge Dini dal 1966 al 2012.
Bruno Benelli
Ulteriore riduzione dei coefficienti di trasformazione dal prossimo anno. Un ulteriore colpo al sistema di calcolo della pensione concertato e introdotto dal decreto del Ministero del lavoro 22 giugno 2015, pubblicato sulla Gazzetta ufficiale 154 del 6 luglio, sulla base delle tabelle demografiche Istat. Un intervento riportato dalla stampa ma tutto sommato passato sotto silenzio perché non è stato inserito nel più ampio discorso degli attacchi condotti alle pensioni.
Trita-pensioni. Per rispetto di verità è corretto ricordare che la revisione al ribasso di tali coefficienti è prevista dalla stessa legge Dini (legge 335/95) che li ha istituiti e perciò il decreto che abbiamo sopra richiamato non fa che applicare principi già consolidati. E nello stesso tempo segue la linea dell’invecchiamento della popolazione. Tuttavia anch’esso – pur con tutte le giustificazioni del caso, che quindi escludono un intento specificamente punitivo – entra in quel “trita-pensioni” che perseguita soprattutto la classe medio-alta degli italiani.
Quattro colonne. Dal punto di vista tecnico la pensione contributiva poggia su quattro colonne: 1) la misura della retribuzione (il reddito per i lavoratori autonomi e per i professionisti); 2) il montante contributivo (cioè quanto uno ha versato all’Inps nel corso della vita e che è più o meno alto proprio in relazione alla misura della retribuzione); 3) la rivalutazione annua dei contributi versati per mitigare i contraccolpi negativi del costo della vita; 4) i coefficienti di trasformazione, cioè le aliquote percentuali che – lo dice la parola stessa – trasformano un “mucchietto” di soldi versati come contributi in un “gruzzoletto” di euro chiamato pensione.
Età-vita. In senso ampio potremmo ricorrere al paragone di una banca che paga gli interessi al cliente sul capitale versato. Ebbene, i coefficienti sono una specie di interesse riconosciuto dall’Inps che però non soggiace alle variazioni del mercato ma è legato esclusivamente a due fattori esogeni: a) l’età dell’interessato; b) l’andamento della speranza di vita. Il legame che hanno con questo secondo fattore li rende in un certo senso “indifferenti”, nel senso che la riduzione della pensione viene pareggiata da un maggior periodo di pensionamento.
Un altro colpo. Ma se la pensione non viene rivalutata negli anni – e ormai questo odioso provvedimento (bollato anche dalla Corte costituzionale) è diventato uno strumento di politica previdenziale – anche la riduzione dei coefficienti diventa un altro colpo alle pensioni di tutti e con più peso verso chi nella vita lavorativa ha avuto retribuzioni medio-alte. E al quale – non dimentichiamolo – sono stati imposte con il metodo retributivo pesanti riduzioni delle aliquote di rendimento, che in molti casi hanno prodotto pensioni inferiori a quelle che gli interessati avrebbero ottenuto applicando il metodo esclusivamente contributivo.
Tre periodi. E’ tempo di puntare il periscopio su un po’ di numeri. I coefficienti ideati da Dini sono stati applicati su una fascia di età che va dai 57 ai 65 anni con otto classi di età. Con i 57 anni (questo principio vale ancora oggi) sono coperti tutti gli anni anteriori, sicché chi va in pensione di invalidità a 40 anni o la pensione di riversibilità della vedova di lavoratore morto a 45 anni, liquidano una pensione come se avessero 57 anni d’età. Con la riforma Fornero le classi di età diventano cinque in più: da 57 a 70 anni, ampliamento dovuto al fatto che l’intendimento neanche nascosto della legge è quello di mandare in pensione a 70 anni, o quanto di predisporre gli strumenti per facilitare la possibilità di giungere a ciò. Come se i posti di lavoro fossero solo degli anziani con poco ricambio generazionale.
Circuito chiuso. I coefficienti iniziali hanno durato dal 1996 al 2012. Sono stati ridotti per il triennio 2013-2015. E ora vengono ulteriormente ritoccati per il triennio 2016-2018. Dal 2019 è già stabilito che le modifiche avranno vita biennale.
Si è in pratica instaurato un circuito chiuso. L’aspettativa di vita aumenta di quattro mesi? Bene, ti mando in pensione quattro mesi dopo, e ti riduco i coefficienti di trasformazione di quattro mesi. Chi vive il fenomeno al presente assume però questo meccanismo in modo negativo: di fatto il pensionamento diventa “ più lontano e meno remunerativo”.
Tre esempi. Tre esempi per rendere l’idea, creati su un lavoratore in pensione con 66 anni di età e 37 di contributi, con il calcolo contributivo della rendita solo per gli anni 2012-2017. All’età di 66 anni corrisponde un coefficiente pari a 6,136% per il pensionamento entro dicembre 2012; pari a 5,624% da gennaio 2013 a dicembre 2015; pari a 5,506% da gennaio 2016.
A – Primo esempio: stipendio annuo lordo di 90.000 euro. Nei sei anni indicati l’interessato ha versato un montante complessivo di 178.200 euro e quindi avrà una quota di pensione pari rispettivamente a 10.950 euro lordi annui, a 10.020 e a 9.800. Differenza tra gennaio 2012 e dicembre 2017 pari a 1.150 euro.
B – Secondo esempio: stipendio annuo lordo di 120.000 euro. Montante versato 237.600 euro. Quota di pensione pari rispettivamente a 14.580 euro annui lordi, a 13.360 e a 13.030. Differenza: 1.550 euro.
C – Terzo esempio: stipendio annuo lordo di 150.000 euro. Montante versato 297.000 euro. Quota pensione pari rispettivamente a 18.200 euro annui lordi, a 16.700 e a 16.300. Differenza : 1.900 euro.