Scopriamo le tecniche in base alle quali l’Inps chiede cifre iperboliche per riscattare il corso degli studi universitari. La differenza di calcolo del riscatto per la pensione retributiva e di quello per la pensione contributiva. Le proposte di Federmanager Roma ai vertici Inps e al Ministro del lavoro per rielaborare la materia e rendere il riscatto un impegno finanziario sopportabile e non un’operazione di strozzinaggio.
Riscatto laurea: croce e delizia dei dirigenti che stanno costruendo il proprio cammino verso la pensione. Croce per chi deve ancora presentare la domanda di riscatto ma è bloccato dal costo dell’operazione. Delizia per chi in modo accorto ha chiesto il riscatto all’inizio della carriera e ora si trova con quattro-cinque anni in più di anzianità assicurativa e contributiva.
In occasione dell’incontro sulla previdenza complementare tenutosi presso la sede di Federmanager Roma il 21 giugno u.s. le domande sul riscatto laurea hanno occupato più della metà del tempo dedicato alle questioni personali, a riprova che la materia tocca un nervo scoperto dei dirigenti.
Proposte Federmanager.
Federmanager lo sa, tanto è vero che, dopo un sondaggio svolto presso gli iscritti, ha ufficialmente sollevato il problema dell’assurdo costo del riscatto alla massima dirigenza Inps e al Ministro del lavoro Poletti. Perciò anche i livelli decisionali del Governo hanno preso atto dello stato di profonda insoddisfazione dei lavoratori, tanto è vero che, sia pure in modo molto generico e appena accennato, hanno iniziato a inserire nell’elenco delle cose da fare, per mitigare la durezza dell’attuale sistema pensionistico, la revisione del sistema di calcolo del riscatto o comunque la ricerca di un uso del riscatto in senso più favorevole ai lavoratori (siamo noi ad avere tirato fuori il concetto di “riscatto light”).
Due interrogativi.
Dalle domande poste sono emersi due quesiti. Il primo: “come mai devo tirare fuori una cifra spropositata quando a un collega qualche anno fa è stato chiesto il pagamento di una somma anche di dieci volte più bassa?”
E’ la pura realtà: oscilliamo da versamenti di 500 mila lire a richieste di 400 mila euro.
Dov’è la logica di questa sistema? Il secondo: “ al di là del costo, mi conviene oggi chiedere il riscatto?”
Incominciamo dalla seconda domanda e rispondiamo che non è possibile formulare una tesi che vada bene per tutti; il riscatto resta pur sempre un atto di valore individuale ed è fortemente influenzato dall’anzianità contributiva raggiunta, dal costo da sopportare, dalle ipotesi di carriera, da problemi personali e familiari, ecc. La convenienza perciò va valutata caso per caso, mai in modo pregiudiziale o, come diceva Totò, a prescindere.
Due sistemi.
E’ tempo di entrare nel cuore del problema e affrontare il percorso misterioso che segue l’Inps per quantificare il costo dell’operazione. Il discorso va suddiviso in due gruppi incapsulati da un dato esclusivamente temporale. Qual è il periodo degli studi universitari? Se esso ricade sotto il calcolo retributivo della pensione c’è un costo; sotto il calcolo contributivo ce n’è un altro. Il calcolo retributivo si estende ai periodi di lavoro fino al 31 dicembre 1995 e, se a questa data sono stati maturati almeno 18 anni di contributi, arriva al 31 dicembre 2011. Di converso quello contributivo comprende i periodi dal 1° gennaio 1996 o dal 1° gennaio 2012 alla data del pensionamento.
Con l’intesa che se una persona è sotto l’intero calcolo contributivo perché ha iniziato a lavorare, supponiamo, nel corso del 1998 e chiede il riscatto della laurea per gli studi svolti nel periodo 1990-1995, automaticamente il costo che l’Inps chiederà sarà determinato dalle norme del calcolo retributivo.
Calcolo retributivo.
Entriamo nel dettaglio del riscatto che ricade sotto il calcolo retributivo della pensione, dopo avere ricordato per completezza di discorso che l’operazione riguarda, oltre la laurea vera e propria con durata di 4, 5 , e 6 anni di corso: a) la laurea (L) con durata triennale; b) la laurea specialistica (LS) con corso di durata biennale cui si accede con la laurea; c) il diploma di specializzazione (DS) con corso cui si accede con la laurea specialistica; d) il dottorato di ricerca (DR) cui si accede con la laurea specialistica.
Il riscatto è governato dalla legge 1338 del 12 agosto 1962, che è la legge che regola la costituzione della rendita vitalizia a seguito di evasione contributiva del datore di lavoro (e già questa accoppiata fa capire quanto pesante sia il costo, se si applicano le stesse regole riferite a una situazione illecita che va sanata ), legge modificata dalla successiva 296 del 27 dicembre 2007 e dal terrificante decreto ministeriale 31 agosto 2007, emanato dai tre ministeri di Lavoro, Famiglia, Economia e finanza.
Terrificante perché regola l’onere del riscatto, e basa la conseguente tariffa da pagare in un incastro di molte variabili: sesso, retribuzione, età, anzianità, misura della pensione.
L’operazione Inps.
A – L’Inps inizia il percorso calcolando la misura della pensione senza il riscatto e quella con il riscatto. Ipotizziamo che al momento della richiesta il dirigente abbia 16 anni di contributi e chieda il riscatto di 5 anni. Gli uffici calcolano la pensione con 16 anni e poi quella con 21 anni.
B – La differenza tra le due pensioni è il perno sul quale si snodano i successivi calcoli. Dapprima si guarda al sesso della persona (la donna ha tariffe più alte perché va prima in pensione), poi all’età del soggetto (più si è anziani più cresce la tariffa perché più si è vicini al momento in cui si potranno riscuotere i frutti dell’investimento), e infine agli anni di contributi giù versati.
Incrociando questi dati gli uffici tirano fuori dalle tabelle ministeriale il “numero” che significa quante volte il dirigente deve versare la differenza scaturita dal calcolo delle due pensioni. In altri termini a quanto ammonta la capitalizzazione dell’aumento di pensione.
Se l’aumento è modesto e l’età del soggetto è giovane il riscatto costerà poco. Se l’aumento è rilevante e il richiedente ha un’età matura o quanto meno adulta il riscatto girerà su cifre considerevoli.
Esempi.
Qualche esempio, facendo finta che l’immissione degli anni di riscatto comporti un aumento di pensione pari a 3 mila euro annui (230 euro al mese). Parliamo di un maschio di 30 anni con 4 anni di contributi (senza riscatto). Il numero da applicare è 13,3333 e il costo è 40.000 euro (cioè più di 13 volte i 3 mila euro). Stessa situazione ma rivolta a una femmina: il numero è 18,4661 e il costo sale a 55.400 euro (cioè più di 18 volte l’eccedenza di pensione).
Cifre apocalittiche se passiamo a persona di 50 anni che, in base alla retribuzione e al numero di anni versati (ipotizziamo 30), ha diritto a una differenza di 8 mila euro di pensione. Il maschio applica il coefficiente 17,4490 e paga 140.000 euro, la femmina il coefficiente 21,6733 con pagamento di 173.000 euro.
Ovviamente con buste paga ben più sostenute, che danno una differenza di pensione superiore a 3 mila o 8 mila euro, il costo del riscatto ha profili stratosferici. E quando a casa dell’interessato arriva la lettera nella quale è precisata la somma da pagare, è come se l’Inps dicesse: “lascia perdere, spendi i soldi per migliori occasioni”.
Pro e contro.
Anche se talvolta assoggettarsi a un salasso del genere è comunque operazione vantaggiosa perché il dirigente disoccupato e senza più speranze di lavoro va subito in pensione (ad esempio anticipata), senza dover attendere più o meno 10 anni per la pensione di vecchiaia. E quindi l’anticipo decennale di pensione ripaga abbondantemente il costo del riscatto e c’è spazio anche per il guadagno suppletivo.
Chi in base all’attuale età avanzata ha chiesto il riscatto all’inizio della carriera, quindi lontano nel tempo, applicando tariffe ministeriali basse, ha pagato cifre oggi assolutamente insignificanti. Ha condotto in porto un’operazione vantaggiosa. Ma anche in questi casi c’è stato purtroppo il risvolto della medaglia per quei dirigenti che sono stati inseriti negli elenchi delle persone da licenziare per avere un’anzianità contributiva più elevata proprio per quel “maledetto” riscatto.
Calcolo contributivo.
Con il sistema contributivo è tutto più semplice, direi democratico. Basta con le divisioni tra sesso, età, anzianità contributiva. Si paga su due soli elementi: busta paga e aliquota contributiva (attualmente 33%).
Sia il lavoratore alle prime armi sia quello al termine della carriera pagano la stessa cifra, ovviamente diversa in relazione al peso della retribuzione.
I lavoratori soggetti al sistema contributivo di calcolo della pensione (dal 1996 o dal 2012 a seconda dei casi) che riscattano periodi universitari che restano confinati entro il perimetro del sistema contributivo evitano il pericoloso riscatto retributivo (che comunque resta favorevole quando è stato chiesto all’inizio del percorso lavorativo) e pagano in pratica all’Inps un terzo della retribuzione lorda annua imponibile inerente ai 12 mesi meno remoti coperti da contribuzione obbligatoria.
Chi ha, poniamo, 40 mila euro di busta paga pagherà 13.200 euro. Con 80 mila 26.400 euro. Con 100 mila (ricordiamo che nel sistema contributivo vige il massimale di retribuzione e conseguente contribuzione) pagherà 33.000 euro. Il tutto moltiplicato per gli anni riscattati, che possono essere inferiori – è una libera scelta dell’interessato stabilire quali periodi vuole portare in pensione – a quelli stabiliti per il corso legale di laurea.
Considerazione finale.
Secondo quanto rappresentato da Federmanager il sistema va rivisto. In questi ultimi tempi è stato ammesso che il riscatto chiesto dal ragazzo laureato ma inoccupato possa essere pagato dal genitore all’Inps, il quale metterà la somma da parte in attesa che l’interessato inizi a essere assicurato, per trasferire l’importo alla relativa Cassa di previdenza. In questa ipotesi il riscatto viene fatto pagare – mancando la retribuzione – sul minimale annuo che è di poco superiore a 15.500 euro. Bene, questo potrebbe essere un segnale da estendere in forma più o meno similare in tante altre situazioni. Se l’assicurazione è sociale, non si vede perché il riscatto sia operazione esosa, che potremmo giustificare al limite nell’ambito di un personale rapporto con una compagnia privata di assicurazioni, ma non nell’Inps, tempio del welfare italiano.
Occorre incentivare il concreto diritto allo studio, ma poi, quale naturale conseguenza, anche il diritto di trasportare i periodi scolastici nella pensione senza intendimenti punitivi o quanto meno motivati da sole ragioni di cassa.