La pandemia entra a piedi uniti nel mondo del lavoro e scardina vecchie normative risalenti anche a 80 anni fa. Le buste paga di milioni di persone piangono e allora si cerca un sostegno attraverso modeste una tantum e la cassa integrazione.
Modifiche anche per il lavoro domestico, per le dimissioni di donne che hanno figli piccoli, per la pensione quota 100.
Cassa integrazione: tutti la vogliono, tutti la cercano, qualunque sia il nome di riferimento! In questi grami e tristi tempi il decretolegge 18/2020 ha previsto, per i datori di lavoro presenti su tutto il territorio nazionale, che hanno dovuto interrompere o ridurre l’attività produttiva per eventi legati all’emergenza epidemiologica, la possibilità di chiedere la cassa integrazione salariale o l’assegno ordinario. Prestazioni entrambe riconosciute solo ai lavoratori che alla data del 23 febbraio 2020 erano dipendenti delle aziende che chiedono le prestazioni. Stiamo parlando di imprese industriali manifatturiere, di trasporti, boschive, forestali, impianti elettrici, dell’artigianato dell’edilizia e materiali lapidei, ecc.
Ne hanno diritto – sotto forma di un assegno garantito stavolta dal Fondo di integrazione salariale (Fis) gestito da Inps – anche i lavoratori alle dipendenze di datori di lavoro con almeno sei dipendenti che non rientrano nell’ elenco precedente e che operano in settori in cui non sono stati costituiti fondi di solidarietà bilaterali o bilaterali alternativi. Possono avere queste prestazioni anche le aziende che hanno già raggiunto il limite di interventi dettato dalla legge nell’arco di un biennio.
Le domande possono essere trasmesse con la nuova causale denominata “Covid-19 nazionale” per periodi dal 23 febbraio 2020 al 31 agosto 2020 e per una durata massima di 9 settimane.
Non occorre più che i lavoratori abbiano un’anzianità anzianità di 90 giorni di effettivo lavoro presso l’unità produttiva per la quale è richiesto il trattamento.
Per velocizzare l’istruttoria delle domande le aziende non devono fornire alcuna prova in ordine alla transitorietà dell’evento e alla ripresa dell’attività lavorativa. Perciò allegato alla domanda non c’è più bisogno di alcuna relazione tecnica, bastando solo l’elenco dei lavoratori destinatari.
Chi paga? Domanda fondamentale perché proprio in questi giorni c’è scatenata una bagarre tra Governo e opposizioni sul tempo che occorrerà affinché le somme arrivino nelle tasche dei lavoratori. Due sono le opzioni:1) l’azienda anticipa le prestazioni e poi ne chiede il rimborso all’Inps; 2) l’azienda chiede il
pagamento diretto da parte dell’Inps, in ciò facilitate in quanto esonerate dall’obbligo di presentare, come normalmente accade, la documentazione comprovante le difficoltà finanziarie dell’impresa.
Premio di 100 euro.
Un premio di 100 euro a favore dei lavoratori dipendenti pubblici e privati, con reddito complessivo nell’anno 2019 non superiore a 40.000 euro, che durante il periodo di coronavirus, erano presenti al lavoro nello scorso mese di marzo 2020. La somma è esente da fisco e non entra nel calcolo della base imponibile ai
fini delle imposte dirette. Il premio va rapportato al numero dei giorni di lavoro svolti nella propria sede di lavoro a marzo.
Da questo mese di aprile i datori di lavoro, che hanno la qualifica di sostituti d’imposta, devono pagare il premio e poi chiederlo a rimborso dell’Inps (l’Agenzia delle entrate ha creato appositi codici tributo di riferimento da indicare sui modelli F24) attraverso il collaudato sistema del conguaglio con i contributi dovuti. E’ possibile, a seconda della reale situazione dell’azienda, pagare il premio in tempi successivi, ma comunque entro il termine del conguaglio di fine anno.ù
Niente premio però ai dipendenti che hanno lavorato con il sistema di lavoro agile (smart working). I giorni svolti a casa non danno titolo al premio, in quanto esso, per espressa disposizione di legge, è rivolto a chi ha lavorato nella propria sede di lavoro.
La pensione quota 100.
L’epidemia entra a forza anche nel mondo complesso della pensione. E toglie una forte restrizione introdotta dalla legge che ha istituito la pensione quota 100 (almeno 62 anni di età e almeno 38 di contributi), in base alla quale chi ha tale prestazione anticipata non può avere anche redditi di lavoro dipendente e autonomo. Il cumulo è ammesso solo con redditi autonomi occasionali non superiori a 5 mila euro lordi annui.
Tutto ciò viene annullato. E’ ammesso il cumulo con redditi di lavoro per il personale medico e infermieristico, che ha incarichi di lavoro autonomo per fare fronte all’emergenza Covid-19. Il reddito per il quale non opera il divieto di cumulo deve riferirsi esclusivamente alla specifica attività, la cui durata non deve essere superiore a sei mesi e comunque entro la fine dello stato di emergenza.
Gli interessati devono comunicare (e-mail o Pec) alla sede Inps del proprio territorio di avere ripreso a lavorare nei termini sopra indicati e al termine devono allegare al modulo relativo ai redditi la documentazione che attesti il conferimento dell’incarico.
Maternità e dimissioni.
Per colpa del coronavirus intervengono modifiche, sia pure solo a carattere amministrativo e gestionale, nei casi in cui la donna si dimette dal lavoro mentre non è ancora passato un anno dalla nascita del figlio. In questa evenienza lo Stato vuole vederci chiaro per evitare che le dimissioni in realtà nascondano un forzato allontanamento da parte del datore di lavoro. E stabilisce che la risoluzione del rapporto per essere valida debba passare attraverso le lenti di un colloquio riservato dell’interessata con il funzionario dell’Ispettorato del lavoro.
Beh, in questi momenti il colloquio non può avere luogo per le note restrizioni. E allora in sostituzione vengono introdotti moduli telematici con i quali chiedere la convalida delle dimissioni di donne. Moduli a tempo, in quanto avranno valore in via eccezionale solo per questi tristi periodi.
Un secondo modulo speciale c’è anche per i casi di convalida dimissioni e risoluzioni consensuali di lavoratori padri e lavoratrici madri in relazione a figli fino ai tre anni di età. Il modello va compilato in ogni sua parte (diverse informazioni relative al datore di lavoro e al rapporto di lavoro sono rintracciabili dalla lettura della busta paga) e deve essere sottoscritto dalla lavoratrice o dal lavoratore interessato. Il modello va poi trasmesso al competente ufficio (individuato in base al luogo di lavoro o di residenza degli interessati) mediante posta elettronica. Occorre allegare la copia di un valido documento di identità e della lettera di dimissioni/risoluzione consensuale debitamente datata e firmata.
Lavoro domestico.
La cassa integrazione viene chiesta con insistenza dalle associazioni dei datori di lavoro domestico, in prima fila l’Assindatcolf. Non c’è alcuna preclusione a proseguire i rapporti di lavoro con colf, badanti e baby sitter, ma per le lavoratrici che perdono o quanto meno sospendono o riducono l’orario del rapporto di lavoro non è prevista la cassa integrazione in deroga, come è stato riconosciuto per moltissime altre situazioni.
Per ora c’è solo la proroga della scadenza dei contributi Inps: quelli relativi al primo trimestre 2020, che dovevano essere pagati entro il trascorso 10 aprile, sono stati rinviati al prossimo 10 giugno. Per il momento resta ferma la scadenza del 10 luglio riferita ai contributi del secondo trimestre, per cui nell’arco di 30 giorni ogni famiglia dovrà mettere le mani in tasca per due volte, se la normativa non verrà modificata.