Rimodernata dalla legge 205/2017 (legge di bilancio 2018) l’Ape sociale acquista ancora più appeal agli occhi di chi può e vuole pensionarsi prima del tempo. A chi non rispetta la scadenza di marzo la legge offre altre due possibilità di presentare la domanda: entro il 15 luglio e il 30 novembre di quest’anno. Per le donne con figli c’è lo sconto di due anni sui requisiti contributivi minimi. Compresi tra i familiari assistiti anche parenti e affini entro il secondo grado.
Molti gli interventi della legge di bilancio 2018 per offrire l’Ape sociale a un più ampio numero di lavoratori che hanno voglia di andare in pensione con circa quattro anni di anticipo. Il tutto a costo zero. Interventi in favore delle donne con figli, di nuove professioni, di nuovi termini per le domande, di nuovi limiti annuali di spesa, di costituzione del Fondo Ape sociale.
Vediamo come si presenta in termini definitivi (almeno per il momento) l’Ape 2018. E’ iniziamo proprio dai nuovi termini di presentazione delle domande. Ora i termini sono tre cui corrispondono tre scadenze per le risposte dell’Inps, in un ravvicinato e alternato “botta e risposta”.
Domande: tre scadenze.
Chi ritiene di avere i requisiti per la prestazione maturati entro l’anno in corso deve presentare all’Inps entro il 31 marzo la domanda volta a farsi certificare il diritto all’Ape. La risposta dell’Inps (si, no) avverrà dentro il successivo 30 giugno. Niente guai per i ritardatari: ci sono ancora due scadenze di presentazione delle domande: la prima entro il 15 luglio, la seconda/ultima entro il 30 novembre, cui corrispondono le relative risposte Inps entro il 15 ottobre e, per chiudere l’anno, entro il 31 dicembre 2018.
Inps: tre risposte.
In realtà la risposta dell’Inps si articola in tre soluzioni: 1) il riconoscimento pieno del diritto con indicazione della prima decorrenza utile per il beneficio; 2) il riconoscimento del diritto ma con una decorrenza differita dell’Ape per insufficiente copertura finanziaria; 3) il rigetto della domanda per mancanza dei requisiti e delle condizioni.
La differenza tra domande in orario e domande in ritardo è concreta: per le seconde la risposta favorevole è legata, non solo al rispetto dei tradizionali requisiti, ma anche alla possibilità che nella cassaforte dell’Inps ci siano ancora i soldi per finanziare la prestazione sociale.
Requisiti.
A questo punto è bene entrare nella giungla (aggiornata) dei requisiti richiesti per avere l’Ape.
A) Periodo di sussistenza dei requisiti : maggio 2017 – dicembre 2018. B) Età minima: 63 anni. C) Contributi versati: almeno 30-36 anni (un po’ meno per le donne con figli), come vedremo appresso . D) Futura pensione: massimo 1.500 euro lordi/mese, all’incirca 1.320 euro netti. E) Residenza in Italia. F) Cessazione rapporto di lavoro. A proposito di questo ultimo requisito è opportuno chiarire che esso deve esserci al momento della presentazione della domanda. Ma poi diventa lecito poter lavorare di nuovo in Italia o all’estero purché non vengano superati i seguenti due limiti annui di reddito lordo: 1) 8.000 euro per lavoro dipendente e parasubordinato; 2) 4.800 euro per lavoro autonomo.
I requisiti devono esistere all’atto della domanda. Ma alcuni di essi possono maturare dopo la presentazione della domanda ma comunque entro il successivo 31 dicembre, esattamente i due requisiti di 63 anni di età e di 30/36 anni di contributi, più il requisito dei sei/sette anni continuativi di svolgimento dell’attività gravosa (vedi appresso).
Oltre 1.500 euro.
Il limite di 1.500 euro non è uno scudo invalicabile: è possibile ottenere una pensione di importo più elevato da parte di chi in carriera ha avuto buone retribuzioni. In questa ipotesi l’eccedenza della rata rispetto al tetto può essere ottenuta solo chiedendo in contemporanea l’Ape volontario, quello che si paga, oppure ricorrendo alla pensione complementare anticipata denominata Rita. Si supponga che in base ai dati Inps la pensione sia di 2.200 euro lordi. Ebbene, 1.500 euro saranno chiesti con Ape sociale, i restanti 700 euro come prestito da restituire in 20 anni.
Due categorie.
Questo prestito pensionistico è però riservato a determinate categorie di lavoratori. In buona sostanza, non bastano i requisiti sopra indicati: è necessario che in aggiunta gli interessati abbiano anche ulteriori caratteristiche, in base alle quali possono dividerli in due categorie: a) quelli che possono avere l’Ape con almeno 30 anni di contributi; b) quelli che invece ne devono avere almeno 36. Incominciamo con i 30 anni.
Disoccupati.
1) Il primo gruppo è formato da disoccupati involontari che hanno terminato i sussidi Inps da almeno 3 mesi. Con la legge di bilancio 2018 sono stati inseriti anche i disoccupati ai quali è scaduto il termine determinato del contratto di lavoro, ma a condizione che nei 36 mesi precedenti abbiano avuto periodi di lavoro dipendente per almeno 18 mesi (anche non continuativi) e come al solito non abbiano più diritto da almeno 3 mesi all’assegno di disoccupazione. Questo stato di disoccupazione sarà rilevato dagli uffici attraverso i centri per l’impiego. Confermato che l’Ape è negato alle persone soltanto inoccupate che non hanno avuto alcuna prestazione Inps.
Invalidi.
2) Il secondo gruppo è costituito da persone con una riduzione della capacità lavorativa (invalidità civile) di almeno il 74%.
Caregivers.
3) Il terzo gruppo riguarda le persone che assistono da almeno 6 mesi familiari disabili gravi e conviventi (caregivers). Nel 2017 la precedente legge ha parlato di cura e assistenza esclusivamente ai coniugi (compresi gli uniti civilmente), figli e genitori. Dal 2018 l’assistenza è estesa anche ai familiari e affini entro il secondo grado. Qui dobbiamo fare alcuni chiarimenti. A leggere la legge in senso stretto sembrerebbe che siano fuori dal beneficio gli affini di primo grado, con un salto illogico. Bene ha fatto l’Inps a chiarire che, in base alla regola “il più contiene il meno”, dobbiamo inserire nel gruppo anche gli apparenti esclusi. Ma a questo punto l’Inps ha inserito negli affini di secondo grado solo i cognati, dimenticando nonni e nipoti del coniuge.
Noi riportiamo sulla “retta via” parentele e affinità e conclusivamente diciamo che le persone assistite sono le seguenti: a) coniuge e unito civilmente; b) parenti di primo grado: figli e genitori; c) affini di primo grado: suoceri, generi, nuore; d) parenti di secondo grado: nonni, nipoti abiatici (cioè figli di figli), fratelli e sorelle; e) affini di secondo grado: nonni e nipoti del coniuge, cognati.
Attenzione però. Per parenti e affini di secondo grado scatta il riconoscimento dell’assistenza a condizione che il coniuge e unito civilmente più figli e genitori: 1) abbiano almeno 70 anni di età; 2) siano anch’essi affetti da patologie invalidanti a carattere permanente; c) siano deceduti o siano mancanti (esempio: celibi, divorziati, ecc.).
Per convivenza si intende la residenza nel medesimo stabile, stesso numero civico, anche se non è lo stesso appartamento.
Lavori gravosi.
Terminiamo con i 36 anni. Fanno parte della categoria i lavoratori cosiddetti “gravosi”, gruppo sul quale sono state apportate molte modifiche. Si tratta di persone che da almeno 6 anni negli ultimi 7, oppure da almeno 7 anni negli ultimi 10, svolgono i cosiddetti lavori usuranti (lavori notturni, catena di montaggio, guida di veicoli con almeno 9 posti, ecc.) e lavori gravosi, esattamente i seguenti: a) operai dell’industria estrattiva, edilizia, manutenzione edifici; b) conduttori di gru, di macchinari mobili per la perforazione nelle costruzioni; c) conciatori di pelli e pellicce; d) conduttori di convogli ferroviari e personale viaggiante; e) conduttori di mezzi pesanti e camion; f) personale delle professioni sanitarie infermieristiche ed ostetriche ospedaliere con lavoro organizzato in turni; g) badanti di persone non autosufficienti; h) insegnanti della scuola dell’infanzia ed educatori degli asili nido; i) facchini, addetti allo spostamento merci e assimilati; l) personale non qualificato addetto ai servizi di pulizia; m) operatori ecologici e altri raccoglitori e separatori di rifiuti; n) operai dell’agricoltura, zootecnia, pesca; o) pescatori della pesca costiera, acque interne, alto mare, dipendenti e soci di cooperative; p) lavoratori settore siderurgico di prima e seconda fusione e lavoratori del vetro addetti a lavori di alte temperature non ricompresi nell’elenco dei lavori usuranti; q) marittimi imbarcati a bordo e personale viaggiante di trasporti marini e in acque interne.
Donne con figli.
Riduzione fino a due anni della durata della contribuzione. Dal 1° gennaio 2018 per le donne che hanno figli il requisito minimo di contribuzione pari a 30 e 36 anni è ridotto di dodici mesi per ogni figlio, con un massimo di due e quindi fino a 28 e 34 anni. Ai figli legittimi sono equiparati quelli naturali e gli adottivi.
Scuola.
Niente da fare per il personale docente e amministrativo della scuola, compresi i dirigenti. Nonostante che abbiano diritto all’Ape sociale certificato dall’Inps, non possono andare a casa se non dopo il 31 agosto 2018. Il rispetto della finestra annuale del 1° settembre (1° novembre per le Università, le scuole di formazione artistica: danza, arte drammatica, ecc, e le accademie di musica) è inderogabile.
Documentazione.
La domanda va accompagnata da alcuni documenti, oltre a qualche dichiarazione personale sostitutiva dell’atto di notorietà. A seconda del caso concreto occorre presentare contratto di lavoro, busta paga, lettere licenziamento, verbale dell’accordo che ha portato alla risoluzione consensuale del rapporto, certificati handicap familiari assistiti, verbali invalidità al 74%, dichiarazioni aziendali riferite ai lavori gravosi, attestazione di lavoro domestico, ecc.
Non è una pensione.
Le somme pagate dall’Inps non sono pensione, sono un prestito, anche se è determinato sulla base dei contributi versati. Da questa differenza di natura deriva che l’Ape può dare diritto al bonus 80 euro, ma non può avere: a) la tredicesima mensilità; b) la rivalutazione annuale delle pensioni; c) la quattordicesima; d) i contributi figurativi; e) l’assegno per il nucleo familiare.
L’indennità è pagata mensilmente per 12 mesi, secondo le scadenze previste per le pensioni. In caso di decesso del titolare l’Ape non è reversibile ai superstiti. Costoro avranno diritto alla pensione nella qualità di superstiti di lavoratore assicurato (non pensionato). Essendo un prestito sulle somme pagate l’Inps applica i normali scaglioni di reddito ai fini Irpef, riconosce le detrazioni di imposta, fa il conguaglio di fine anno, rilascia la certificazione unica.
L’Ape è pignorabile, può avere trattenute per crediti pignoratizi e per recuperi di indebiti previdenziali o assistenziali (ma nella misura del quinto di imponibile), non è cedibile.