Tranquillizziamoci: la riduzione dei coefficienti penalizza la misura della pensione dallo 0,33% allo 0,72%, con perdite mensili di 6-9 euro rispetto al 2020. Certo, se facciamo il rapporto con i primi coefficienti in vigore fino al 2009 la perdita è fortemente penalizzante: arriva fino al 15%. I coefficienti sono legati non al numero dei contributi versati ma solo alle età, suddivise da 57 a 71 anni, mentre le rivalutazioni dei versamenti alle variazioni del Pil: più l’Italia produce ricchezza, migliori sono i risultati sulla pensione. I tre sistemi di calcolo: retributivo, contributivo, misto. I due anni fondamentali su cui si regge l’impalcatura del sistema sono il 1996 e il 2012.
Bruno Benelli.
Ulteriore riduzione da gennaio 2021 dei coefficienti di trasformazione con i quali si calcola pensione contributiva. Le nuove aliquote valgono per il biennio 2021-2022 e rispetto a quello precedente (2019 – 2020) portano una riduzione che va dallo 0,33% allo 0,72%. Sono valori minimi che non suffragano, a nostro modo di vedere, le sollecitazioni di molti tecnici, che consigliano di andare in pensione dal 1° dicembre di quest’anno, dribblando in tal modo il calcolo diminuito. E’ opportuno ricordare a ogni buon conto che per avere la pensione Inps da dicembre occorre presentare la domanda in novembre. Perciò chi vuole farsi i propri calcoli per stabilire quale esito sia il migliore è bene che non perda tempo. Premesso che ognuno è libero di chiedere la pensione quando e come vuole, noi vogliamo soltanto sottolineare che, se l’unico motivo di anticipare il pensionamento entro l’anno in corso è dato dal volere evitare le modifiche ai coefficienti, il risultato dell’operazione e ben poca cosa, e poi sicuramente ribaltato dal più lungo periodo di versamento dei contributi.
La misura delle riduzioni
Valgano alcune cifre per rendere meglio l’idea. Supponiamo che il sig. Rossi, 65 anni, abbia versato nel corso della vita lavorativa contributi per 300 mila euro. Se va in pensione nel prossimo mese di dicembre avrà una rendita di 15.735 euro lordi l’anno (coefficiente 5,245), se deciderà di andare in gennaio avrà 15.660 euro (coefficiente 5,220), cioè 75 euro di differenza, qualcosa meno di 6 euro al mese per 13 mensilità. E se il conto globale del montante fosse di 500 mila euro la differenza sarebbe tra 26.225 e 26.100, vale a dire 125 lire, pari a poco più di 9 euro al mese. Ma avrà come amico un mese in più di contributi, e quindi un presumibile azzeramento della riduzione. Poi, come già detto, ognuno è libero di fare come meglio crede in relazione ai propri interessi personali, familiari, lavorativi.
Le tavole dei coefficienti
Vediamo ora come si presentano le tavole dei coefficienti di trasformazione che, come suggerisce la parola stessa, trasformano – quasi fossero il mago Silvan – i versamenti in pensione. Essi sono i testimoni oculari del passaggio dal dare all’avere.
Creati dal gennaio 1996 con un range di età da 57 a 65 anni hanno conservato il loro valore fino al 2009 (ben 14 anni). Da quel momento in cui hanno preso una corsa veloce e si sono via via ridotti nei periodi triennali 2010-2012, poi 2013-2015, poi 2016-2018, quindi biennali 2019-2020 e ora 2021-2022. Nel corso di questa scalata, la legge ha allargato le maglie anagrafiche portando i coefficienti fino ai 71 anni.
Dal prossimo anno essi partono dal valore 4,186 (57 anni) a quello 6,466 (71 anni). La riduzione complessiva rispetto alle cifre iniziali del 1996 va dall’11,31% 14,93%. I valori relativi agli anni 66-71 anni, nati molto dopo, registrano riduzioni dal 2,46% al 5,93%. Il valore minimo dei 57 anni viene applicato anche alle persone di età inferiore: si pensi ai pensionati di invalidità, ad esempio, o ai vedovi superstiti.
I tre modi di calcolo
Detto questo, per inquadrare bene la materia invero frastagliata, è opportuno fotografare in modo ravvicinato le modalità tecniche con le quali l’Inps calcola le pensioni di ognuno di noi. Esse sono applicate sulla base del brocardo latino valido nel mondo del diritto che spiega: “tempus regit actum”. Dimmi a quale tempo (cioè periodo) risale il versamento dei contributi e qual è la tua anzianità contributiva e ti dirò quale calcolo verrà applicato! Possiamo dividere il sistema in alcuni spartiacque.
Calcolo contributivo
A – Chi ha iniziato a lavorare dal 1996 ed è privo di precedente anzianità assicurativa applica su tutta la pensione il calcolo contributivo, che è il più sfavorevole in quanto prende in considerazione tutti i contributi versati, anche quelli remoti nel tempo (e sicuramente meno incisivi), li somma, ottiene il montante e su di esso applica il coefficiente di trasformazione. C’è da aggiungere che le somme realmente versate sono fittiziamente aumentate attraverso un sistema di rivalutazione annua, che tiene conto delle variazioni quinquennale del prodotto interno lordo. Più l’Italia produce ricchezza, più succose sono le rivalutazioni.
Calcolo retributivo
B – Chi ha iniziato a versare prima dell’anno 1966 ha il diritto di avvalersi anche del più favorevole metodo retributivo, in base al quale la pensione è calcolata in percentuale solo sugli stipendi degli ultimi anni (da 5 a 10 a seconda dei casi), potendo perciò eliminare la zavorra delle contribuzioni più lontane nel tempo, garantendo in tal modo a milioni di lavoratori (ma non a tutti) una pensione sicuramente superiore al corrispettivo versato.
Fermiamoci un attimo a chiarire il concetto degli stipendi degli “ultimi 5-10 anni”. Sono proprio gli ultimi. Una persona va in pensione nel 2020 e applica il sistema retributivo per i periodi fino al 2011. Gli ultimi anni non sono quelli che si fermano al 2011 ma quelli dell’anno del pensionamento. I due periodi di riferimento della retribuzione sono quelli 2016 – 2020 (5 anni) e 2011 – 2020 (10 anni).
Calcolo misto
Ma la situazione delineata sub B) ci costringe ad addentrarci di più nel sistema, in quella specie di labirinto creato dalla legge Dini dal 1995.
B1 – Se entro il 31 dicembre 1995 ha meno di 18 anni di contributi, il lavoratore avrà una pensione calcolata con: a) il sistema retributivo per i periodi fino al 1995; b) il sistema contributivo dal 1996 alla data del pensionamento. E’ il cosiddetto calcolo misto.
B2 – Se entro il 31 dicembre 1995 ha quantomeno 18 anni di contributi, la situazione diventa rosea: a) applica il sistema retributivo dal primo versamento fino al 31 dicembre 2011; b) applica il sistema contributivo dal 1° gennaio 2012 fino alla data del pensionamento. E’ del tutto evidente che più “larghi” sono i confini del metodo retributivo, più prolifica è la rata di pensione.
Il muro per tutti
C – Per tutti c’è il muro invalicabile del 31 dicembre 2011. Tutti i versamenti posteriori, qualunque sia la trama del romanzo lavorativo precedente, ricadono sotto la tagliola del metodo contributivo (legge Monti-Fornero).
Il massimale
Dobbiamo anche tenere conto che nel sistema contributivo vige il massimale: i contributi sono versati su stipendi e redditi, ma entro un tetto annuo, oggi 103.055 euro. Le quote eccedenti non sono soggette alla contribuzione pensionistica (ma sono comunque soggette alle altre assicurazioni minori), per cui nel 2020, ad esempio, la somma massima che viene accreditata sul conto Inps del singolo lavoratore è in pratica 34.000 euro. Minore incidenza del prelievo sì, però minore pensione: equazione questa che soprattutto i dirigenti devono tenere a mente.
Il passaggio di calcolo
Ultimo chiarimento: è possibile optare per il sistema contributivo abbandonando quello retributivo. E’ una scelta volontaria, che non deve essere confusa con quella legata al sistema “opzione donna”, nel quale la perdita del metodo contributivo diventa obbligata, avendo però come contraltare la pensione otto anni prima dell’età canonica del 67 anni.
La scelta volontaria – che deriva da situazioni strettamente personali non sindacabili – è ammessa ma con alcune condizionalità. Il lavoratore deve avere: 1) un’anzianità entro il 31 dicembre 1995 inferiore a 18 anni; 2) un versamento complessivo di contributi non inferiore a 15 anni; 3) di cui almeno 5 anni riferiti a periodi dal 1996 in poi.