Un meccanismo a orologeria riduce l’importo della pensione contributiva (compresa la parte della pensione calcolata con il sistema misto) con il crescere dell’aspettativa media della vita. Pubblicati i coefficienti del 2021-2023, con il solito andamento decrescente. Nel frattempo l’Inps manda in pensione il codice personale Pin: dal prossimo 1° ottobre tutti dovremo dotarci del codice di identità personale Spid.
Ulteriore riduzione dei coefficienti di trasformazione dal prossimo anno. In tal modo sappiamo già come saranno calcolate le pensioni del nuovo anno, calcolo che darà luogo a una prestazione un pochino ridotta a quella di oggi, cioè a quella che avrà decorrenza entro il mese di dicembre 2020.
La revisione al ribasso dei coefficienti è prevista dalla stessa norma Dini (legge 335/95) che li ha istituiti, per seguire la linea dell’invecchiamento della popolazione.
Per rendere comprensibile il teorema ricordo che i coefficienti, introdotti solo sulle pensioni (in tutto o in parte) contributive, nascono nel 1996 e senza alcuna variazione (nonostante la legge Dini ne avesse decretato la modifica dopo un decennio) giungono al 2012. Da quel momento le variazioni si susseguono ad ogni triennio, per poi ridursi a un biennio (2019-2020) e tornare a un triennio (2021-2023).
Prossimi tre anni
Il Ministero del lavoro ha stabilito i valori dei prossimi tre anni, e anche stavolta i coefficienti vengono ulteriormente limati, sempre per via della crescita dell’età media degli italiani. La riduzione rispetto a quelle del passato è però modesta (da 0,33% a 0,72%), e questo perché ha subito un rallentamento l’aumento della speranza di vita.
Rispetto alle percentuali previste da Dini (allora si fermavano ai 65 anni di età; oggi dopo lo “tsunami Fornero” che ha allungato nel tempo l’età pensionabile sono giunte ai 71 anni) la riduzione è marcata, Un solo esempio: fino al 2009 l’aliquota dei 65 anni era 6,136%, oggi è 5,245%, tra pochi mesi 5,220%.
Quattro colonne
Andiamo con ordine per comprendere bene la fondamentale importanza di questi coefficienti. Dal punto di vista tecnico la pensione contributiva poggia su quattro colonne:
1) la misura della retribuzione (il reddito, se si tratta di lavoratori autonomi e professionisti);
2) il montante contributivo (cioè quanto uno ha versato all’Inps nel corso della vita e che è più o meno pingue in relazione alla misura della retribuzione);
3) la rivalutazione annua dei contributi versati per mitigare i contraccolpi negativi del costo della vita; 4) i coefficienti di trasformazione, cioè le aliquote percentuali che – lo dice la parola stessa – trasformano il capitale di soldi versati come contributi in un gruzzoletto di soldi chiamato pensione.
Fattori “indifferenti”
I coefficienti sono una specie di interesse riconosciuto dall’Inps, che però non soggiace alle variazioni del mercato, ma è legato esclusivamente a due fattori esogeni: a) l’età dell’interessato; b) l’andamento della speranza di vita. Il legame che hanno con questo secondo fattore li rende in un certo senso “indifferenti”, nel senso che la riduzione della pensione viene pareggiata da un maggior periodo di pensionamento. Perciò a parità di retribuzioni globali e quindi di soldi versati all’Inps, chi va in pensione, poniamo, a 62 anni avrà dall’Inps la stessa cifra di chi andrà in pensione a 67 o a 70 anni.
Chi sale, chi scende
Si è in pratica instaurato un circuito chiuso tra speranza di vita e coefficienti: se la prima sale i secondi scendono. Chi vive il fenomeno al presente assume però questo meccanismo in modo negativo: di fatto il pensionamento per lui diventa più lontano e meno remunerativo.
Se poi entriamo in un discorso di generi maschile e femminile il parallelismo non funziona più. Le tavole statistiche dicono che la donna vive più a lungo dell’uomo per almeno un quinquennio, per cui non è vero che i coefficienti siano indifferenti, almeno sotto questo aspetto.
Tra un uomo e una donna in pensione a 67 anni con lo stesso montante contributivo c’è di fatto una divaricazione di misura pensionistica finale, per l’ovvio principio per cui “chi campa di più, prende di più”.
Coefficienti 2021
Dal prossimo gennaio i coefficienti vanno dal minimo di 4,186% (età 57 anni) al massimo di 6,466% (età 71 anni). Entro questi due paletti oscillano i valori intermedi. Prendiamo il caso del sig. Rossi e del sig. Bianchi che da gennaio 2021 andranno in pensione. Il primo con 62 anni di età avrà il coefficiente 4,770%, il secondo con 67 anni avrà 5,575%. Tutti e due hanno versato all’Inps nel corso della vita lavorativa contributi pari a 300 mila euro (già rivalutati in base alla legge). Ebbene, la pensione del primo ammonterà a 14.300 euro annui, del secondo a 16.700. Tutto regolare: la pensione più alta del sig. Bianchi sarà riscossa per un numero di anni inferiore a quello stimato per il sig. Rossi. I conti perciò tornano. Ovviamente stiamo parlando in generale come flussi di vita della nazione e non in modo individuale; in realtà non sappiamo cosa capiterà effettivamente a ognuno dei due soggetti.
Il Pin va in pensione
Nel frattempo l’onorato Pin – croce e delizia di milioni di cittadini (16 numeri e lettere, divisi in due fasi di trasmissione a ogni diretto interessato) – va in pensione per essere sostituito dal sistema Spid. Il sistema viene “spento”, anche se l’Inps per darsi delle arie di superiorità linguistica segue la moda anglofona e parla di “switch off.”
Il codice è la chiave passe
partout per aprire gli archivi dell’Inps, avere informazioni, chiedere prestazioni, ecc. per cui di esso non si può fare a meno, anche se sotto altre più aggiornate vesti. Con il sistema Spid (sistema pubblico di identità digitale) si esce dai confini del Pin, con il quale si può colloquiare solo con l’Inps e si a prese all’intero sistema pubblico aperto agli sviluppi europei. In parole povere con lo Spid (con credenziali di livello 2 o 3) ognuno può accedere ai servizi in rete delle pubbliche amministrazioni dell’Unione europea.
L’Inps chiarisce che tale sistema è dotato di livelli di autenticazione grazie ai quali l’Inps potrà abilitare servizi inediti, quelli che richiedono una maggiore affidabilità nella fase di riconoscimento dell’utente (firme digitali, pagamenti, ecc.).
Spid dal 1° ottobre 2020
D’accordo con il Ministero per l’innovazione tecnologica e la digitalizzazione, l’Agenzia per l’Italia digitale (Agid) e il Ministero del lavoro è stato individuato il 1° ottobre 2020 come data a partire dalla quale non saranno più rilasciati Pin Inps. Comunque il Pin dispositivo sarà mantenuto per gli utenti che non possono avere accesso alle credenziali Spid come ad esempio i minori di diciotto anni o i soggetti extracomunitari.
Durante la fase transitoria verso lo Spid gli attuali Pin conservano la loro validità e potranno essere rinnovati alla naturale scadenza fino alla conclusione della fase transitoria. In base all’andamento del processo, sarà fatta conoscere la data di cessazione definitiva di validità dei Pin rilasciati dall’Inps.