Con la sentenza 173 del 13 luglio la Corte costituzionale conferma la legittimità del prelievo forzoso del 6-12-18 per cento sulle pensioni più elevate, che la vulgata dei mass media e della politica giudica d’oro. I ragionamenti della Consulta non convincono quando sostengono che la misura è contingente, straordinaria e temporalmente circoscritta, quando sappiamo tutti che è dal 2000 che le pensioni ogni tanto sono soggette a prelievi mirati. Preoccupazioni per il futuro: dal 2017 sarà riproposto?
E’ legittimo il contributo di solidarietà sulle pensioni di importo più elevato, che la vulgata mediatica chiama d’oro? E’ perfettamente legittimo a condizione che si ponga come misura “contingente, straordinaria, temporalmente circoscritta”. Se ha questi requisiti il contributo supera lo scrutinio di costituzionalità e può liberamente rosicchiare le pensioni.
E’ questo in estrema sintesi il pensiero della Corte costituzionale, che con sentenza 173 del 13 luglio 2016 (presidente Paolo Grossi, relatore Mario Rosario Morelli) ha dato ragione al Presidente del Consiglio dei ministri e all’Inps, rigettando le accuse di illegittimità sollevate da sei ordinanze della Corte dei Conti delle regioni Veneto, Campania, Calabria, Umbria.
Il contributo 6-12-18 per cento
E così anche per quest’anno il contributo del 6-12-18 per cento continuerà a colpire le quote di pensione eccedenti rispettivamente 91.343,98, poi 130.491,40 e infine 195.737,11 euro lordi annui. Che, a dirla così, sono grosse cifre, ma che noi dobbiamo correttamente ridurre dopo la “tosatura” Irpef, e parlare di importi mensili netti rispettivamente di 4.300, di 6.800 e quote eccedenti 6.800 euro.
Sempre comunque pensioni solide, per le quali gli interessati – in primo luogo i dirigenti di azienda – hanno versato contributi non d’oro ma di platino. Pensioni non regalate, ma anzi inferiori a quelle spettanti ove fossero stati applicati i coefficienti di rivalutazione pieni riconosciuti ai lavoratori con stipendi lordi annui di poco superiori ai 40 mila euro. E che perciò già pagano mensilmente un consistente contributo di solidarietà nascosto tra le pieghe della legislazione previdenziale.
Non a caso infatti molti studiosi confermano che a certi livelli il sistema di calcolo contributivo offra risultati anche superiori a quelli del metodo retributivo.
Ma tant’è: la vulgata dei media e della politica non accetta questi discorsi fastidiosi perché pongono sotto accusa un sistema subdolo che trasforma una tassa illegittima, che colpisce solo un classe di cittadini, in un virtuoso intervento solidaristico alla “volemose bene”.
Contributo e non tassa
E’ tempo di entrare dentro la sentenza e farne l’esegesi, per sostanziare la nostra posizione negativa con argomentazioni che partano dagli stessi concetti espressi dai giudici della Consulta. Oggetto del contendere: gli anni 2014-2016, dopo che l’intervento del biennio precedente 2011-2012 è stato caducato dagli stessi giudici. Perché questa differenza tra i due periodi? Perché: a) nel primo biennio il contributo prelevato ai pensionati è finito nel calderone generale dell’erario e quindi si è connotato come una tassa; b) nel successivo triennio è rimasto nelle tasche dell’Inps.
Diamo spazio all’intervento della Corte su questo specifico passo: il contributo è valido “non essendo acquisito allo Stato, né destinato alla fiscalità generale, ed essendo, invece, prelevato, in via diretta, dall’Inps e dagli altri enti previdenziali coinvolti, i quali – anziché versarlo all’Erario in qualità di sostituti di imposta – lo trattengono all’interno delle proprie gestioni, con specifiche finalità solidaristiche endo-previdenziali, anche per quanto attiene ai trattamenti dei soggetti cosiddetti esodati”.
Gli esodati ringraziano!
Le pensioni-salvadanaio
Ricordiamo a questo punto che il prelievo non è diverso – lo riconosce la stessa Consulta – da quello della legge finanziaria 2000 (legge 488/1999) che introdusse il contributo di solidarietà del 2% per il triennio 2000/2003 sugli importi dei trattamenti pensionistici corrisposti da enti gestori di forme di previdenza obbligatorie complessivamente superiori al massimale annuo. Norma che realizzò “un circuito di solidarietà interno al sistema previdenziale”, e per questo confermata dalla ordinanza 22 del 2003 e dalla ordinanza 160 del 2007. Il che, al di là delle argomentazioni dei giudici, ci porta a dire che è dal 2000 che le pensioni più alte sono aggredite da Governo e Parlamento. Tali pensioni hanno ormai acquistato la figura del salvadanaio al quale ricorrere nei momenti di bisogno (i quali dalle parti del nostro Stivale sono sempiterni).
Come si fa perciò a dire che il contributo di solidarietà è misura “temporalmente circoscritta”? Questa “circoscrizione” quanti anni deve durare per non essere più tale? Quindici anni e più non bastano?
E i legittimi affidamenti?
Non si creda che i giudici si siano fermati qui. No, coerentemente si sono chiesti se l’attuale contributo risponda a criteri di ragionevolezza e proporzionalità, tenendo conto dell’esigenza di bilanciare la garanzia del legittimo affidamento (cioè il diritto del lavoratore di intascare la pensione che gli hanno prospettato e per la quale ha versato i contributi; non sia mai che si rompa questo clima di fiducia!) con altri valori costituzionalmente rilevanti (che se ritenuti prevalenti, come è appunto il filrouge della sentenza 173/2016, annullano o quanto meno riducono il diritto dei lavoratori, per cui la fiducia va a farsi benedire!).
E allora, c’è questa ragionevolezza? In linea di principio – sottolinea la Corte – il contributo di solidarietà sulle pensioni può ritenersi misura consentita al legislatore ove la stessa non ecceda i limiti entro i quali è necessariamente costretta dal suo stesso obbligo di rispettare i principi di affidamento e della tutela previdenziale del lavoratore. Avremmo piacere di sapere quali siano questi “limiti” oltre i quali il contributo perda la carica della solidarietà e diventi una tassa. Quando cioè il contributo-dott. Jekyll si trasformi notte tempo nella tassa-mr. Hyde.
Il prelievo contro la crisi
Non è finita: la Corte lancia, almeno a nostro giudizio, un allarmante messaggio. Dice: il contributo deve operare dentro l’’ordinamento previdenziale come misura di solidarietà “forte”, mirata a puntellare il sistema pensionistico, e di sostegno previdenziale ai più deboli, anche in un’ottica di mutualità intergenerazionale, come è imposta da una situazione di grave crisi del sistema stesso.
Beh, i dirigenti in pensione e quelli che stanno per arrivarci hanno di che preoccuparsi. Se il contributo di solidarietà (che per noi, sia chiaro, resta sempre una tassa) deve puntellare il barcollante sistema Inps e deve persino farsi carico della “mutualità intergenerazionale” è bene comprendere, senza inutili infingimenti, che la tassa è destinata a essere, come un carabiniere, nei “secoli fedele”. Ma come la mettiamo se prima è stato citato tra le condizioni che giustificano il contributo quello della “temporaneità” del taglio?
Per i giudici perciò il contributo è legittimo perché anche grazie a esso lo Stato combatte la crisi economica internazionale, l’impatto nefasto di essa sull’economia nazionale, la disoccupazione, la mancata alimentazione della previdenza, le riforme strutturali del sistema pensionistico.
In questa logica diventa traballante il principio di affidamento sul mantenimento del trattamento pensionistico già maturato, difeso dalla stessa Corte in altre occasioni con le sentenze 69 del 2014, 166 del 2012, 302 del 2010, 446 del 2002, ecc.
Pensioni alte rispetto alla minima
In questo contesto il contributo sulle pensioni costituisce certamente una misura del tutto eccezionale, che per tale sua natura non può essere ripetitiva e tradursi in un meccanismo di alimentazione del sistema di previdenza (cosa che, a nostro giudizio, invece avviene, dato che ne stiamo parlando dal 2000). Il contributo deve essere “solidale e ragionevole” e quindi deve colpire le pensioni più elevate. E qual è il parametro con il quale dobbiamo misurane l’altezza? Hai noi!: è’ la “pensione minima”. Se questo è il paragone siamo spacciati! In questa logica – stiamo ovviamente estremizzando, ma il fatto è che la crisi non sappiamo quando finirà di morderci e in che condizioni ci lascerà se ci lascerà – anche la pensione di 600 euro al mese potrebbe al limite avere un ritocchino essendo superiore a quella minima. Pensione minima che, non è disdicevole ricordarlo, è riconosciuta a persone che hanno versato molti pochi contributi, a persone che in buona parte hanno evaso fisco e Inps (d’accordo con il datore di lavoro o subendone i ricatti) o hanno svolto attività autonome per molte delle quali lo scontrino è un optional non gradito e quindi poco frequentato!
Che succederà nel 2017?
E alla fine di tutto il prelievo – che secondo la Corte per le considerazioni sopra espresse è sostenibile e rispetta il principio della proporzionalità – deve essere “utilizzato come misura una tantum”. Questa considerazione conclusiva della Consulta ci conforta, anche se non riusciamo a farla combaciare con la necessità di legare il balzello alla situazione strutturale della crisi italiana.
Per cui ci viene il sospetto che se il Governo decidesse di ricreare la tassa anche per gli anni successivi al 2016 e la Corte, ingabbiata nei suoi stessi ragionamenti, dovesse finalmente bollarla come un intervento “una semper”, il Parlamento troverebbe il marchingegno per non applicare la decisione, come è avvenuto con la sentenza 70/2015, negata totalmente o parzialmente a moltissimi pensionati, con la Corte che aveva gli occhi rivolti altrove, in quanto distratta da altre incombenti decisioni.
Rivalutazione annuale
E per dessert finale la Corte ci serve nel piatto la conferma della legittimità di una rivalutazione annuale delle pensioni fortemente limitata e decrescente fino al 40% del dovuto, e non riconosciuta per nulla alle pensioni superiori a sei volte il trattamento minimo. Per la serie “la crisi ce lo chiede”, mentre monta la protesta di alcune frange di lavoratori che vogliono un’ulteriore salvaguardia degli esodati (sarebbe l’ottava!), secondo il piano presentato dal sig. Damiano, presidente della Commissione lavoro della Camera, piano bocciato persino dal presidente Inps perché “iniquo e inutilmente costoso”. Come andrà a finire? Beh, prepariamoci all’arrivo della nona salvaguardia , una volta messa a segno l’ottava!