Il disegno di legge sul bilancio 2017 amplia l’area di applicazione del cumulo. Ora con esso si può chiedere la pensione anticipata, finora negata, e usarlo anche se è stato già raggiunto il diritto a pensione in una delle gestioni pensionistiche. Ma il calcolo della pensione “cumulata” resta sempre lo stesso: ogni Cassa liquida in pro-rata la parte di competenza. Per la pensione davvero unica e totale resta la ricongiunzione con tutto il carico dei costi.
Nulla di nuovo sotto il sole di cumulo & ricongiunzione. Solo qualche aggiustamento, peraltro significativo, al cumulo, ma di revisione del sistema neanche a parlarne! Le speranze di chi, sentendo parlare di superamento dell’istituto della ricongiunzione dai politici ( e mettiamoci pure i giornalisti) che ogni giorno ne discettavano, ha creduto che con il nuovo sistema di cumulo si potessero raggiungere, senza dover mettere le mani nel portafoglio, gli stessi effetti della ricongiunzione, sono andate deluse. La ricongiunzione continua a esistere, mentre il nuovo cumulo – ovviamente gratuito – allarga l’area di applicazione e diventa più omnicomprensivo, limando le attuali asperità e restrizioni. E ciò è un bene in questa epoca attraversata e segnata da un’accentuata precarietà e da lunghi periodi di non-lavoro, dove la pensione si può raggiungere, vorremmo dire, “ a tozzi e bocconi”. Ma i due istituti, pur continuando a farti salire sullo stesso treno, ti fanno poi scendere in stazioni differenti.
Prima di dare l’identikit del cumulo 2017 dobbiamo partire dal cumulo esistente per poi chiederci: in questo nuovo sistema può avere ancora senso la ricongiunzione a pagamento?
Cumulo attuale. Il cumulo è una creazione legislativa giovane. Nasce nel gennaio 2013 (quindi terminerà il mandato dopo soli quattro anni, almeno in questa primigenia versione) e consente di sommare tra loro i contributi versati presso due o più gestioni previdenziali diverse. Riguarda i lavoratori dipendenti (mondo pubblico e privato,compresi i dirigenti d’azienda un tempo iscritti all’Inpdai), gli autonomi, gli iscritti alla gestione separata (i cosiddetti parasubordinati), gli iscritti a forme sostitutive (Fondo volo, fondo dazio, mondo dello spettacolo e dello sport professionistico, giornalisti) ed esclusive dell’Inps (statali, dipendenti enti locali e sanità, ferrovie dello stato, postelegrafonici). Sono fuori dal beneficio i liberi professionisti iscritti alle casse di previdenza private e privatizzate (medici, avvocati, notai, commercialisti, geometri, ecc.). Ma se una persona ha tre diverse contribuzioni (ad esempio come statale, dipendente privato, libero professionista) può chiedere il cumulo per le prime due posizioni lasciando da parte la terza.
Sommare con il cumulo due o più spezzoni contributivi è operazione subordinata al rispetto di cinque condizioni: 1) non si deve avere già una pensione; 2) non si deve aver maturato i requisiti per la pensione, anche se non è stata chiesta; 3) non si può chiedere la pensione anticipata in quanto il sistema è creato per pensione di vecchiaia, trattamenti di inabilità e pensione ai superstiti; 4) non devono essere coincidenti tra loro i periodi contributivi ammessi al cumulo; 5) non si può chiedere il cumulo di una sola parte dell’anzianità contributiva: o tutto o niente!
Chiarimento per il numero 2): non avere maturato i requisiti per la pensione significa che nella gestione non è stata raggiunta la contribuzione minima di 20 anni. Perciò a un lavoratore che ha come pedigree personale ad esempio 20 anni di Inpdap e 19 anni di Inps o di ex Inpdai viene negato il cumulo.
Diritto e misura. Avendo: a) una somma di contributi che raggiunge il minimo complessivo di 20 anni; b) un’età che fino al 2018 è di 66 anni + 7 mesi ( ridotti a 66 anni + 1 mesi per le lavoratrici autonome e 65 anni + 7 mesi per le lavoratrici dipendenti del settore privato); c) un rapporto di lavoro dipendente cessato almeno il giorno prima della decorrenza della pensione, il cumulo è ok. Perciò – ricorriamo anche qui a un esempio – avere versato 7 anni di contributi Inpdai, 8 anni di contributi Inps, 6 anni di contributi allo Stato fa raggiungere il diritto a pensione, che senza il cumulo sarebbe negata da tutte e tre le gestioni. Ma tutto ciò non ha alcun rilievo sul calcolo. La pensione, per restare all’esempio, non sarà rapportata a 21 anni di anzianità, ma sarà data dalla unificazione di tre diverse, diciamo così, sotto-pensioni, calcolate su 8, 6 e 7 anni contributivi da ogni rispettiva gestione pensionistica, ognuna delle quali applicherà le proprie norme di calcolo.
Cumulo 2017. Tutto quello che abbiamo ora detto varrà anche dal prossimo anno ma con i seguenti importanti aggiustamenti che superano i limiti indicati e che staccano definitivamente e in senso positivo il cumulo dall’altra analoga istituzione denominata totalizzazione.
A – Il cumulo è riconosciuto anche per ottenere la pensione anticipata che nel 2017 (ma anche oggi e fino al 2018) viene assegnata a chi, indipendentemente dall’età, ha raggiunto 42 anni + 10 mesi di versamenti contributivi se uomo, e 41 anni + 10 mesi se donna.
B – Il cumulo è ammesso anche se in una gestione è stato raggiunto il requisito contributivo minimo per la pensione (in genere 20 anni), il che rende completa la possibilità di sfruttare il cumulo. A maggior ragione se si fanno i paragoni con la totalizzazione la quale – se da un lato è più “liberale” del cumulo, in quanto prevede: 1) la sommatoria degli spezzoni anche se si è raggiunto il diritto a pensione in una gestione, 2) l’applicazione anche ai liberi professionisti 3) il riconoscimento della ex pensione di anzianità con 40 anni + 7 mesi di versamenti – dall’altro è incredibilmente “illiberale”, in quanto costringe gli interessati a riscuotere la pensione totalizzata dopo un attesa di 18 mesi (vecchiaia), e 21 mesi (anzianità). Con il cumulo si va lisci: la pensione decorre dal primo giorno del mese successivo a quello in cui sono raggiunti i requisiti ed è stata presentata la domanda, senza ulteriori attese.
Ricongiunzione. La ricongiunzione resiste. C’è e resta anche nel 2017 e presumibilmente negli anni successivi. Costa quasi sempre molto, spesso in modo assolutamente sproporzionato, in alcuni casi in misura accettabile, in minimi casi con spesa zero. Ma troppe volte per ricongiungere i conti previdenziali gli interessati si sentono sparare cifre superiori ai 100 mila euro con punte, se si tratta in genere di liberi professionisti, fino a 400 mila.
E’ un problema molto sentito ad esempio dai dirigenti di aziende industriali che in larga parte hanno una contribuzione versata in due gestioni e che quindi hanno interesse a riunire i periodi per un’unica pensione, ma senza dissanguarsi!
Federmanager ha sempre sottolineato come il ticket di pagamento chiesto a chi vuole ricongiungere spezzoni contributivi sia un sistema da rivedere e liberalizzare. Il sistema per molti decenni ha esaltato la creazione di vari Fondi di previdenza e poi ha negato la circolarità delle posizioni assicurative se non al costo di un biglietto di ingresso oneroso e odioso. Chi cambia lavoro per motivi di mercato e/o di carriera deve pagare quantomeno due volte la contribuzione e ciò è ingiusto.
Perché si paga? E qui torniamo alla domanda iniziale: ha ancora un senso il pagamento per la ricongiunzione? La risposta è duplice: 1) no, se il cumulo fosse stato pienamente modificato e in concreto potesse dare una pensione completa e rispettosa di tutti i pagamenti contributivi; 2) si, se si confrontano i risultati con quelli del cumulo vecchia e nuova versione.
Tutto dipende dal sistema di calcolo della pensione, come abbiamo prima sottolineato. Valga un semplice esempio numerico per comprendere la questione. Un lavoratore ha 20 anni di iscrizione alla Cassa statali e 20 anni di contributi Inps come dirigente, per un totale di 40.
Con il cumulo raggiunge il diritto a pensione, anzi a due intermedie pensioni, poi riunificate in un’unica rata per il pagamento. La Cassa statali calcolerà la quota sui propri 20 anni, rapportata alle retribuzioni “di allora”, sia pure rivalutate negli anni secondo le percentuali Istat. L’Inps a sua volta
calcolerà il proprio conto sulle retribuzioni degli ultimi anni. In parole povere si tratta di una pensione formato 20 + 20 e non 40.
Il trasloco dei contributi. Con la ricongiunzione invece c’è il “trasloco” dei contributi dallo Stato all’Inps e la pensione è calcolata su 40 anni, come se il dirigente fosse stato sempre e solo un contribuente Inps in qualità di dirigente. Tra le due situazioni c’è una grossa differenza a favore della ricongiunzione in quanto per i periodi fino al 2011 la pensione verrebbe calcolata sugli stipendi degli ultimi 10 anni. E proprio da questo vantaggio nasce il pagamento del ticket.
Anche se è doveroso sottolineare che con il calcolo contributivo della pensione – dal 2012 riguarda tutti i lavoratori qualunque sia la loro pregressa anzianità – l’efficacia della ricongiunzione sta perdendo terreno. Ormai la pensione si è avviata su un percorso nel quale non è più determinante la misura delle ultime buste paga, che invece nel calcolo retributivo danno l’imprimatur a tutta la pensione. Ormai la pensione è legata alle retribuzioni di ogni singolo anno e per tutti i lavoratori che non hanno raggiunto almeno 18 anni di contribuzione entro il 1995 questo metodo viene applicato dall’anno 1996, cioè da un ventennio. Chi sfugge all’abbraccio totalizzante del metodo contributivo fino al 2011 è una persona che deve avere attualmente almeno 38 anni di versamenti. Per quelli con meno anni la ricongiunzione – salvo casi particolari – è un’arma un poco spuntata che non vale più la pena di usare.
Recesso e restituzione. Chi sta pagando la ricongiunzione, costrettovi in quanto, ad esempio, non poteva con il cumulo avere la ex pensione anticipata, ora si sente come la persona a cui è rimasto in mano il cerino acceso. Sta pagando probabilmente a vuoto completo. Nel disegno di legge che qui stiamo commentando hanno pensato a questa incresciosa situazione e hanno stabilito in questa situazione di consentire agli interessati di bloccare la ricongiunzione, di recedere da essa e di chiedere indietro le rate pagate all’Inps. Tutto ciò a tre condizioni:1) il recesso deve essere esercitato entro 12 mesi dalla data di entrata in vigore della legge (quindi entro il 31 dicembre 2017; figurarsi! tutti si affretteranno giustamente a presentare subito la richiesta); 2) non si deve ancora essere verificato il titolo alla liquidazione della pensione; 3) non è stato completato sino all’ ultima rata il pagamento richiesto dall’Inps.
La restituzione delle somme viene risolta con assoluta calma: a) la prima decorre dal 12° mese successivo alla richiesta; b) il tutto frazionato in quattro rate annuali senza interessi.
Simile discorso per recedere dalla richiesta di pensione in totalizzazione, presentata prima della legge di bilancio, domanda che è ancora in fase amministrativa per cui la pensione non è stata ancora liquidata. Qui non si parla di restituzioni in quanto l’istituto è gratuito.
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