RIPARTE LA CACCIA ALL’ORO
DI NUOVO SOTTO MIRA I PENSIONATI
Le pensioni medio-alte sono superpagate, con un costo per il lavoratore superiore al ricavo. Non è assoluta verità che le pensioni retributive prendano di più rispetto a quelle contributive: per le persone con stipendi alti il confronto si rovescia a danno del metodo retributivo. Se il cittadino deve essere torchiato l’unico strumento egualitario è quello fiscale.
Riparte la caccia all’oro. Dopo quelle mitiche che interessarono California negli Usa, Klondike in Canada, e in misura infima, Biella da noi, la stagione “anti-aurifera” ha riaperte le cacce. Come al solito nel mirino ci sono le pensioni, che nella figurazione di molti sono “pepite” d’oro guadagnate con frode, o quanto meno grazie a compiacenti leggi (peraltro votate da interi Parlamenti, con il plauso di tutti i sindacati e partiti politici, del mondo cattolico e quello laico, destra e sinistra, ecc. elogiate come una giusta vittoria della classe lavoratrice).
Santa crociata. E chi dice che occorre ridurre questo tipo di pensioni per un atto di giustizia verso i giovani di oggi che si vedono calcolare la pensione con il più restrittivo metodo contributivo, non potendo più avere le “regalie” del sistema retributivo, afferma un concetto che in buona parte è falso e che merita di essere vagliato con meno rozza apoditticità, per dimostrare che sotto la bandiera di una operazione di supposta giustizia c’è solo la necessità di rastrellare soldi dalle tasche di chi non ha soverchie voci in capitolo. E se così non è e così non sarà si abbia quantomeno il coraggio di non nascondersi dietro le parole, facendo credere di approntare una crociata santa contro sfruttatori e accaparratori, quando invece si tratta solo di arraffare vile danaro.
Il 2% annuo è troppo. Proviamo a fare qualche ragionamento tenendo i piedi in terra, senza voli pindarici e moralismi d’accatto. Il metodo retributivo ha generato pensioni di importo superiore a quello dovuto in base al diverso metodo contributivo introdotto dalla legge Dini del 1995. Questo è il ritornello su cui si battono alcune forze politiche e Presidenti smaniosi: calcolare la pensione in base al 2% annuo, di modo che essa sia l’80% dello stipendio dopo 40 anni di contribuzione è operazione troppo dispendiosa, che crea appunto pensioni d’oro.
Integrazioni al minimo. Supponiamo di essere d’accordo con questa conclusione, e traiamo da essa le dovute conseguenze. Ci accorgeremo che tutte le pensioni sono d’oro e diventano persino di “platino” quelle che in valori assoluti sono le più basse. Possibile? Possibile. Ecco due spunti di riflessione.
Integrazione al minimo. Milioni di pensioni sono integrate al minimo in favore di persone meno abbienti che hanno versato pochi contributi. E’ una spesa pesantissima che viene negata e abbandonata dal sistema contributivo, che paga le pensioni solo ed esclusivamente in base a quanto il lavoratore ha versato. Ciò significa che si tratta di milioni di pensionati che ricevono rendite superiori del due-trecento per cento rispetto al loro vero diritto. Nel loro piccolo sono pensioni d’oro. Toccheranno anche queste? In linea teorica si, se fossero consequenziali con quanto vanno predicando.
Lavoratori autonomi. Lavoratori agricoli autonomi, artigiani, commercianti. Hanno pensioni in genere modeste in quanto hanno nella loro vita lavorativa pagato i contributi Inps sul reddito minimale (quest’anno meno di 16 mila euro lordi annui). Hanno versato contributi molto bassi rispetto a quelli applicati ai lavoratori dipendenti, in molti anni quasi la metà. Attualmente pagano poco più del 22% a fronte del 33% dei dipendenti. Ebbene, nonostante una contribuzione così ridotta calcolano le pensioni con lo stesso identico sistema dei dipendenti, vale a dire pensione annua pari al 2% del reddito. Un favoritismo incredibile che non ha eguali nel nostro sistema previdenziale. Conclusione? Hanno pensioni super-d’oro. Toccheranno anche queste? Ma per carità! Primo, perché hanno pensioni oggettivamente basse (spesso figlie di redditi occultati al fisco e di conseguenza all’Inps); secondo, perché categorie così forti che hanno imposto e ancora impongono alla nazione una contribuzione ridotta (ma ora il contributivo gliela ritorce contro) è opportuno lasciarle in pace.
Manovre nascoste. Vogliamo chiarire di nuovo che le due esemplificazioni portate all’attenzione del lettore non vogliono essere un invito affinché il Parlamento operi tagli anche ai diretti interessati. Vogliono dimostrare che parlare di pensioni d’oro molto spesso è fuorviante: è eloquio fatto per nascondere manovre di altre natura e portata.
Adesso spostiamo l’attenzione sui lavoratori dipendenti che per la loro posizione apicale nella struttura organizzativa e operativa delle aziende hanno sempre versato e stanno versando all’Inps contributi su retribuzioni alte. E per non appesantire troppo il discorso lavoriamo su una cifra che rimane facile nella memoria: una busta paga di 100.000 euro lordi annui. Bene, su questi livelli siamo sicuramente entrati – a detta dei nuovi “cacciatori” – nel mondo dell’oro. Qui il sistema retributivo è stato una vera pacchia sfornando pensioni di lusso. Ma è proprio così? Vediamo un po’.
La pensione perde colpi. La prima cosa che ci viene in mente è questa: se la pensione risultante è alta significa che sono stati versati in parallelo i necessari e sufficienti contributi; non è mica venuta fuori per caso! A pensione d’oro corrispondono contributi d’oro (questa seconda parte dell’equazione è sempre dimenticata dai cacciatori). Anzi, in termini di pura linea aritmetica, i contributi versati avrebbero dovuto dare una pensione superiore a quella che hanno generato. Questo perché sopra una certa soglia di retribuzione (quest’anno 46.169 euro lordi annui) la pensione non è più del 2% annuo. C’è un accentuato decalage che, attraverso vari gradini, porta l’aliquota finale all’1% (per la quota A di pensione retributiva, calcolata sui periodi fino all’anno 1992) e allo 0,90% (per la quota B, relativa al periodo 1993-2011).
Il confronto. Ebbene, se si fanno i dovuti calcoli risulta che 100.000 euro danno una rata annua che va dall’1,57% all’1,60%. E questo nonostante che da 46.169 euro in poi il contributo Inps ha un’addizionale 1%, per la serie “ti chiedo di più e in compenso ti do di meno”.
Se sui 100.000 euro applichiamo il metodo contributivo ci accorgiamo che al 67enne liquidiamo una rata annua di pensione in una percentuale superiore (circa 1,9%). E per gli addetti ai lavori questo rovesciamento di fronte non è una novità. Fin dall’istituzione del calcolo contributivo (anno 1996) si scoprì che ad alti stipendi sarebbe corrisposta una pensione superiore a quella retributiva. Tanto è vero che il Parlamento dovette correre ai ripari e eliminò la facoltà dei lavoratori di optare per il contributivo poco prima di chiedere la pensione, lasciandola solo alle persone con meno di 15 anni di contributi.
La leva fiscale. E’ il momento di tirare le somme. Le persone, come i dirigenti ad esempio, sono consapevoli che il Paese abbia tutto il diritto di chiedere uno sforzo finanziario a chi ha un reddito medio-alto. Ma non vogliono che si usino carte truccate. Per questo è necessario che: a) non si parli di pensioni d’oro, quasi fossero pensioni rubate, perché come abbiamo visto sono pensioni più che pagate; b) non si chiedano i sacrifici solo a una parte della popolazione ma nell’operazione siano coinvolti tutti i cittadini al di sopra di un certo reddito, da qualunque fonte provenga; c) si usi perciò l’unica leva in grado di mantenere trasparenza, uguaglianza, giustizia ed equità: quella fiscale. Fuori da questi tre parametri, la riduzione delle sole pensioni è un furto. Alla stessa stregua di un intervento legislativo che chiedesse i soldi , che so!, solo agli sfasciacarrozze.